Vi spiego chi è  G. Meloni e perché è un grave pericolo per l’ Italia e parte dell’Europa

Giorgia Meloni rappresenta un pericolo per l’equilibrio democratico in europa. La sua leadership sembra essere l’antitesi di ciò di cui l’Italia ha bisogno – e non solo in questo momento difficile. Il pericolo per l’Europa nasce perché l’Italia è sempre stata un laboratorio: ha prefigurato le crisi degli altri Paesi. L’Italia ha avuto Mussolini prima di Hitler e le Brigate Rosse estremiste di sinistra prima che apparisse l’Action Directe in Francia e l’Armata Rossa seguisse l’esempio in Germania. L’Italia aveva Berlusconi prima che gli Stati Uniti votassero Trump e dopo anni di malgoverno Berlusconi, l’Italia ha prodotto il movimento Cinque Stelle, il primo partito populista guidato da un comico, prima che il resto d’Europa lo raggiungesse. L’obiettivo dei Cinque Stelle era quello di sconvolgere la politica, spesso senza pensare alle conseguenze. L’ispirazione morale ed economica di Meloni è Viktor Orbán, l’uomo che negli ultimi anni ha distrutto l’opposizione in Ungheria e ha ottenuto la legittimità utilizzando come arma il consenso popolare. Ha dato un effimero senso di sicurezza, ma gli ungheresi lo hanno pagato caro sotto forma di instabilità economica e, soprattutto, di perdita dei loro diritti. Il parlamento europeo ha dichiarato che l’Ungheria non può più essere considerata una democrazia a pieno titolo. Si svolgono le elezioni, ma le norme europee e gli standard democratici vengono sistematicamente ignorati al punto che l’Ungheria è ormai una “autocrazia elettorale”. La Meloni non ha mai nascosto di collaborare strettamente con Orbán e i suoi alleati nel perseguire l’obiettivo comune di rafforzare l’estrema destra europea in nome del rispetto della sovranità nazionale, della difesa della famiglia naturale, dell’identità cristiana e dell’economia sociale di mercato. La coppia ha pubblicizzato i loro incontri con selfie amichevoli sui social media. Dopotutto, cantano dallo stesso spartito socialmente conservatore sull’aborto, sui diritti LGBTQ+ e sulla migrazione. Condividono un obiettivo: società basate non sui diritti individuali garantiti dalla legge europea ma sull’autoritarismo sovrano. È nel suo sostegno a persone come Orbán che vediamo quello che sembra essere il vero pericolo rappresentato da Giorgia Meloni. Il partito  di Meloni è riuscito negli anni ad espandere la propria base elettorale in Italia cacciando militanti di altri partiti pronti a saltare su quello che avrebbe dovuto essere il carro dei vincitori. Questa strategia ad alto rischio ha funzionato, anche se ha coinvolto Fratelli d’Italia in polemiche e in diverse indagini giudiziarie in corso, sul presunto coinvolgimento dei candidati in corruzione , estorsione,   ignominia e smaltimento illegale di rifiuti. Eppure la Meloni è riuscita a riaffermare la sua credibilità espellendo i facinorosi e prendendone pubblicamente le distanze. Le uniche figure che sembra avere difficoltà a rinnegare sono i politici la cui identità è costruita sull’ideologia di estrema destra. La Meloni nega di essere fascista, sapendo di mentire. Non credo che sia il punto più importante del programma del suo partito, ma vale la pena affrontarlo. Il suo è un gioco semplice: i partiti le cui origini possono essere ricondotte ai movimenti neofascisti hanno fatto di tutto per disintossicare e ammorbidire la loro immagine, dichiarando la loro opposizione all’antisemitismo, al razzismo e all’esperienza storica fascista. La Meloni fischia ai suoi antenati politici neofascisti con lo slogan dell’era Mussolini “Dio, patria, famiglia”. Lo ha fatto sempre, urlando dal palco di un comizio a San Giovanni: “Io sono Giorgia, sono una donna, sono mamma, sono italiana, sono cristiana”. Lo ribadì al Congresso mondiale delle famiglie di Verona, dove fu ancora più esplicita, promettendo: «Difenderemo Dio, la patria e la famiglia». In un’intervista in campagna elettorale in corso ha affermato che “ Dio, patria, famiglia ” non era uno slogan fascista, ma una bella dichiarazione d’amore. A chi le ricorda, facendo rabbrividire, che durante il regime fascista era ovunque, imbrattato sui muri dei villaggi, sugli ingressi degli uffici e stampato nei libri scolastici, lei ribatte che la citazione originale era del rivoluzionario italiano Giuseppe Mazzini. Dio, per lei, non sembra rappresentare la fede, ma piuttosto un marchio di cattolicesimo imposto come unica religione degna di diritti. I confini della patria vanno difesi, anche con la violenza, se necessario, e la famiglia non è la culla degli affetti, ma dell’imposizione, dell’obbligo e della prescrizione. La famiglia è sempre eterosessuale, i suoi figli nascono e vengono riconosciuti nella forma imposta. Le sue parole spesso portano echi di Mussolini. I suoi discorsi giocano sul bisogno di identità, sulla paura umana di essere emarginati o non riconosciuti. Nelle sue mani l’identità diventa uno strumento di propaganda per dividere il mondo in Noi e Loro, dove “loro” sono le comunità LGBTQ+, i migranti o coloro che non si vedono rappresentati nelle strutture consolidate o nelle etichette imposte dagli altri. L’impressione è che siano loro le persone cattive, che mettono a repentaglio l’identità dell’intiera nazione. Il totalitarismo, da sempre, fa leva su tali paure per convincere le persone a privarsi volontariamente dei propri diritti, con la promessa di essere difese da un nemico esterno. Meloni sembra voler mantenere il sostegno dell’ala della destra radicale che considera il suo partito troppo moderato e votarlo solo per recuperare terreno contro la sinistra. Ripudiare completamente le radici fasciste del partito, a quanto pare, significherebbe perdere molti di questi voti. Fratelli d’Italia mantiene lo stesso logo – un tricolore italiano a forma di fiamma – utilizzato dall’ormai defunto Movimento Sociale Italiano neofascista (MSI), fondato nel 1946 da sostenitori del regime come Pino Romualdi, una figura di spicco del partito fascista e Giorgio Almirante, condannato per collaborazione con le truppe naziste. La premier appare la figura politica italiana più pericolosa non perché evochi esplicitamente il fascismo o le pratiche degli squadristi in camicia nera, ma per la sua subdola ambiguità. Durante la campagna elettorale ha promosso uno schieramento democratico, liberale-conservatore. Ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina e si è espressa a sostegno della NATO e degli aiuti militari a Kiev. Ma si è opposta alle sanzioni dell’Ue contro la Russia dopo l’annessione della Crimea nel 2014. E nel suo libro del 2021 Io sono Giorgia ha scritto che la Russia di Putin “difende i valori europei e l’identità cristiana”. La Meloni, nella sua ambiguità, ha rivolto i suoi attacchi ai migranti. Ha alimentato le paure degli italiani, creato un nemico, un capro espiatorio su cui scaricare la colpa dell’incompetenza e della cattiva gestione pubblica. Cerca di passare per una moderata davanti all’ Europa, smorzando il suo messaggio e avanzando quelle che sostiene siano nuove idee per risolvere la cosiddetta emergenza migranti e ripristinare l’italianità anche nel mondo. L’estrema destra può avere successo in Italia perché la sinistra ha fallito, esattamente come in gran parte del mondo, nell’offrire visioni o strategie credibili. La sinistra chiede alla gente di votare contro la destra, ma non ha una visione politica o un’alternativa economica. La sinistra suona elitaria quando comunica, mentre la destra ha trovato un discorso iper semplificato: parole chiave, slogan, concetti ridotti all’essenziale, soprattutto sui migranti, dalla cui violenza e terrorismo gli italiani, a quanto pare, vanno salvati. Non c’è da stupirsi che la Meloni non abbia avuto scrupoli, nonostante la protesta pubblica, nel twittare il video di uno stupro presumibilmente perpetrato da un richiedente asilo. La Presidente del Consiglio è pericolosa perché si avvicina di più alla scuola delle bugie politiche di Berlusconi e al programma populista secondo il quale quanto più totale è una bugia, tanto più la gente ci crederà. Attenzione, perché dove va l’Italia, presto il resto d’Europa la seguirà.

Massimo Melani 📖

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Questa destra estrema che vuol impossessarsi della cultura, dopo più di 50 anni di ignoranza totale…

Il mio è meramente un riferimento al presente governo di destra estrema. La verità è che oltre 50 anni fa chi era di quell’idea così totalitarista usava nascondersi come i lebbrosi nel XIII secolo, ora invece, questi politicanti,  adoperano il potere con grande arroganza e incompetenza. Poi, visto che non esiste una vera opposizione, Meloni & C. tentano di impadronirsi della cultura, cosa questa mai stata nel loro nero DNA. Un tentativo che mandano avanti grazie al golpe delle TV ormai totalmente in loro possesso. Ma, nell’arco di 60 anni, quanti nomi della destra hanno avuto un peso reale nella cultura in Italia? Sgarbi, Prezzolini Guareschi, Papini D’Annunzio ( in ordine sparso ), ma sappiamo benissimo da quale parte pende la bilancia. Un nuovo regime che appare, a noi repubblicani, incapace di realizzare pienamente un’autentica mitologia autonoma. Basti pensare a certe scelte di tipologia fascista, come quelle di due amministrazioni di destra ove, quella di Lucca non ha voluto intitolare una strada a Sandro Pertini, mentre quella di Grosseto ne ha inaugurata una dedicata a Giorgio Almirante. Un partigiano vero contro un collaboratore della Difesa della razza, rivista antisemita fascista. E l’idolo di Meloni chi era? Il governo di destra estrema è così: “Ci hanno eletto? Fanculo gli altri, facciamo quello che ci pare”. Amen! Massimo Melani 📖 https://www.instagram.com/p/C0TlhdtqCuG/?igshid=MTc4MmM1YmI2Ng==

Se Berlinguer e Almirante dall’alto potessero conversare sull’attuale politica, ecco cosa direbbero

“Caro Enrico, ma che battaglie! Quante ce ne siamo dette e sempre guardandoci negli occhi. Una certa cultura italiana, sta volendo e ottenendo che di me non restino solo che sperduti ricordi, qualche apparizione alle tribune politiche, i miei comizi e lasciamelo dire, la mia oratoria, di cui anche tu eri grande ammiratore. Poi nulla più, se non qualche foto dei miei baffoni bicolore, e degli occhi color del cielo. Eppure, mio grande avversario, ho sempre mostrato immensa lealtà verso lo Stato. Forse era lo Stato che non aveva molta fiducia nel MSI che vedeva come continuazione dell’assetto mussoliniano”.   “Amico, fraterno, adesso posso dirlo fraterno, quante cose ci dividevano ma, anche, quante ci univano, come il pensiero sui giovani, sui ventenni che se si regolano, si organizzano, si impossessano del puro sapere e lottano con i lavoratori e i perseguitati, non ci sarà scampo per l’arcaico ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia. Queste erano anche basi tue, caro nemico del cuore!”  “Caro Giorgio, ti ricordi il compromesso con Moro? Non avevo la minima pretesa di essere il verbo del pensiero di Aldo, e in aggiunta, pur stimando la sua levatura, non ne sono mai stato un vero seguace. Però, Moro, aveva fronteggiato la questione comunista assieme al sottoscritto in una maniera e con un obiettivo precisi, che erano di slegare quell’ annodatura positivamente. La sua famosa, ai più, riflessione circospetta, si confaceva con la manifestata volontà di andare più avanti possibile nel rapporto con il Pci. Egli, all’interno della sua visione democratica, che vedeva uno Stato nato dalla Resistenza e dalla società italiana, dal movimento operaio di cui era fondamentalmente formata, non voleva, appunto, escludere il mondo dei lavoratori e, perciò, il PCI che lo rappresentava in toto. Dopo la sua dolorosa scomparsa la Dc si è trasformata, dimostrandosi sempre più intollerante verso noi comunisti e, pertanto, non ha fatto altro che rimandare i tempi di questo compromesso storico”. “Enrico, tu lo sai che nel compromesso storico non ho mai creduto e tale mio pensiero l’ho ribadito in più occasioni. Al contempo, tengo a sottolineare che la mia raffigurazione, di uomo avvolto in un’aura colma di sentimentalismo, paragonabile alla mitologia, conseguenza più del culto che di una vera storicizzazione, predisposizione, non ben vista dalla realtà del dopo MSI, è forse dovuta a un complesso di inferiorità storiografica fino a oggi ben rimarcabile nei cosiddetti partiti di destra. La sinistra al contrario, in questo è grande maestra, dal momento che la tua figura è da tempo storicizzata e con un successo, definirei, eclatante. C’è da sfatare, inoltre, il fatto che ai miei comizi la gente si radunasse esclusivamente per il gusto della mia nobile ‘ars oratoria’, ma perché, prima di tutto, le persone vedevano nei miei messaggi la figura di una persona schietta, pulita, senza le solite false astuzie dialettiche, che –in particolar modo oggi- contraddistinguono gran parte del linguaggio dei politici nostrani. Nessuno, mi ha mai riconosciuto, nel difficile momento storico del’68, come colui che ha fatto di tutto per reprimere gli atti violenti della estrema destra, avviando il cambiamento, poi continuato da Gianfranco Fini, che in seguito però ha ripudiato.” “Amico Almirante, so che compagno non lo apprezzeresti, abbiamo vissuto epoche veramente dure, dove gli attentati allo stato, e ai loro rappresentanti, erano cose di ordinaria amministrazione. La strage di Bologna, Ustica, ancora prima il ’68, le brigate rosse, ordine nero, la strategia della tensione, i NAR, i movimenti operai comunisti armati, le bombe, le mafie e chi più ne ha più ne metta. Eppure, abbiamo spesso fatto fronte comune, ci siamo coalizzati, magari con intendimenti diversi, ma abbiamo costruito un fronte collettivo per risollevare le sorti di questo nostro e unico Stato. Noi abbiamo lottato solo per un ideale: l’Italia! Oggi, lottano solo per una poltrona, per un incarico che li renda sempre più ricchi e potenti, mentre non si stanno accorgendo che lo Stivale è ormai ricoperto dalla melma del pressapochismo e della slealtà a ogni livello.” “ Sì, amico mio caro, convengo appieno, nonostante due sigle di partito ci separino idealmente. A presto Enrico”. “A presto, Giorgio!”  MM